Le problematiche per cui una coppia chiede una consultazione psicologica sono svariate e vanno dalle difficoltà sessuali, alle difficoltà di trovare accordi e soluzioni sui conflitti, a problematiche di
comunicazione, a conflitti di coppia inerenti però conflittualità nelle famiglie d'origine, etc.
Vi sono poi problematiche inerenti la strutturazione della coppia stessa e qui ne descriverò alcune:
La coppia Complementare:
Il termine complementare non va confuso con quello di completamento: tutte le coppie sono
formate da due individualità che assieme si completano, ossia che si fanno carico l’uno delle
incompiutezza dell’altro. Con il termine di coppia completare si intende invece il fatto che
l’attribuzione dei ruoli nella coppia è rigida ed attuata in modo che uno dei membri si trovi sempre
in una certa posizione up (“di vantaggio”, “su”, “in alto”), mentre l’altro sempre in posizione down
(“di svantaggio”, etc.).
Vantaggio e svantaggio comunque vanno intesi come termini puramente convenzionali, poiché non è raro che il partner in posizione down possa avere più vantaggi e
potere decisionale dell’altro che sta in posizione apparentemente up. Questo tipo di coppia si
costituisce sulla base dell’incontro di due persone che presentano ciascuna una scissione nei
confronti di un aspetto di sé ritenuto indesiderabile, inaccettabile o irraggiungibile. Questa parte di
sé viene rimossa e negata. Una personalità così rigidamente strutturata avrà la tendenza ad
innamorarsi di un’altra che manifesterà proprio quella parte (non necessariamente così evidente
nel primo periodo di conoscenza reciproca), quel ruolo, da cui il soggetto ha sempre cercato di
prendere le distanze.
Perché avviene questo? La risposta sta nel fatto che reprimere una parte del
proprio sé è un’operazione dispendiosa in termini di economia psichica e la spinta inconscia
evolutiva ed autoriparativa della psiche porterà la persona a cercare di riprendere contatto con la parte negata rendendo inutile il lavoro di rimozione e liberando energia mentale che può essere
investita in attività più vitali. Un esempio tipico di coppia complementare in cui sono evidenti questi
processi mentali è quella dell’ “uomo che non deve chiedere mai” e della “donna-bambina fragile e
dipendente” : il primo è un individuo molto autonomo che, sulla base delle sue esperienze infantili,
ha ritenuto che la dipendenza, la debolezza e l’emotività siano condizioni deprecabili e quindi fa di
tutto per apparire forte ed incrollabile.
Questi uomini (ma potrebbe essere anche a parti inverse!) si
angosciano e vanno in collera quando percepiscono in sé segni di debolezza emotiva e bisogni di
dipendenza affettiva; ma possono tollerare di contattare questi aspetti della vita interiore se li
vivono attraverso un altro con cui hanno una relazione intima: saranno allora ben lieti di avere
accanto un partner insicuro, da curare, proteggere, consolare, coccolare, etc.
Prendendosi cura in
un'altra persona di quegli aspetti di personalità che non possono accettare in sé, essi se ne
riappropriano e vi si conciliano. In alternativa possono invece criticarli nell’altro, applicandovi lo
stesso atteggiamento che fanno con se stessi.
Gli esiti di questi rapporti sono vari: si va da quello
più favorevole in cui l’incontro permette ad entrambi di operare un processo di cambiamento
interno integrando in sé quella parte complementare che l’altro gli “insegna” ad amare o
quantomeno ad accettare; alla situazione opposta di divaricazione massima delle parti
complementari che da luogo ad un rapporto irrigidito di continua critica e correzione reciproche.
La coppia simbiotica :
Il termine simbiosi fu introdotto dagli psicoanalisti per descrivere il legame di fusione ed indifferenziazione tra il neonato e la propria madre. Nella relazione di coppia tale termine viene
usato proprio per definire un comportamento fusionale, di mutua reciproca iper-dipendenza, con
scarsa definizione dei confini interpersonali all’interno del rapporto a due.
I partner della coppia
simbiotica sembrano essere senza conflitti, ma ciò è vero solo in apparenza. Il fatto è che il
conflitto, attivando in loro intense paure di rottura del rapporto, deve essere negato: e ciò può comportare però una “somatizzazione” delle tensioni emotive, disturbi d’ansia e dell’umore, oppure
uno spostamento del conflitto sulla generazione dei figli.
Il conflitto infatti, per definizione,
differenzia, separa, allontana momentaneamente le persone che litigano e provano rabbia, ma
migliora anche i rapporti interpersonali perché permette occasioni di crescita, scambi autentici e
comprensione reciproca se, e sottolineo se, opportunamente e saggiamente regolato.
Nella coppia
simbiotica il terrore del conflitto, invece, elimina l’area dello scambio reciproco: i due partner
tendono a sopprimere ciò che li differenzia e ad esaltare gli aspetti in cui sono simili, soprattutto
all’inizio della loro relazione. Tale attitudine poi con il tempo si cristallizza e li irrigidisce nella
negazione delle differenze e dunque anche nella negazione dello scambio, della crescita e del
cambiamento psicologico sia individuale che come coppia che evolve e si trasforma nel tempo.
I
membri di tale coppia vivono entrambi in uno stato di insicurezza costante, pervasi da angosce
abbandoniche e, come due piccoli “Hansel e Gretel” soli nel bosco, si tranquillizzano a vicenda
stringendosi e restando fisicamente vicini.
Paradossalmente l’insicurezza dell’uno è fonte di
sicurezza per l’altro: infatti la forte angoscia d’abbandono che attiva nell’uno la continua ricerca ed
il controllo dell’altro, rassicura quest’ultimo di “essere sempre pensato”. Per tali motivi tali coppie
hanno un saldo legame, ma più nel senso di essere come “incollati” che nel senso di essere intimi e complici.
Essendo il loro legame fondato sulla paura della solitudine e dell’abbandono esso li
rende con il tempo spesso infelici, poiché entrambi i partner sentono di dover sopprimere parti
della propria personalità ed unicità, che ritengono l’altro non potrebbe accettare e tollerare, vivendo
così vite emotive “tronche”. Per la paura di perdere l’altro finiscono con il perdere se stesse !
In
queste coppie il controllo reciproco è massimo e la passionalità, la creatività, la “novità” e
l’imprevedibilità sono pressoché nulle. È questa, infatti, una coppia i cui membri sono metodici e
ripetitivi: non amano le sorprese, gli imprevisti, i viaggi e le distanze; sono molto dipendenti dalle
famiglie d’origine (da cui non si sono mai “diplomati” come figli, cioè differenziati) e confinano la
vita di coppia in percorsi prevedibili.
In queste coppie non c’è spazio per i figli e se li hanno
trasmettono loro il disagio per l’autonomia e la separazione fisica e psicologica. Il massimo delle difficoltà si verificano pertanto nell’adolescenza dei figli, i cui movimenti di separazione mandano in
crisi il sistema familiare. Altre volte i figli sono trasformati in “figli-nonni” che devono farsi carico dei
bisogni emotivi dei genitori.
La coppia dei combattenti cronici
Questa forma di organizzazione di coppia riguarda partner che non riescono a fare a meno del conflitto per mantenere la relazione di coppia, anzi il conflitto è il loro modo principale (per non dire
esclusivo) di entrare in relazione. Pertanto la collaborazione è sostituita completamente dalla
competizione e dall’agonismo. Una buona esemplificazione cinematografica di questo tipo di
coppia è costituita dalla “Guerra dei Roses”, in cui il finale tragico rende bene l’idea
dell’impossibilità (o meglio dell’estrema difficoltà) dei membri di questa coppia di separarsi.
Essi,
pur nella guerra e nella sofferenza, ed anzi paradossalmente proprio per la guerra e la sofferenza,
non possono fare a meno l’uno dell’altro: tanto che se uno dei due muore (come nel film) o rompe
il rapporto, l’altro invece di sentirsi liberato da un peso si sente inutile e vuoto, sente che ora non
saprebbe più con chi combattere e si deprime molto fino a volte a togliersi la vita o a fare della
persecuzione del partner che si è allontanato l’unica ragione di vita: la cronaca ci riporta spesso casi di coppie estremamente litigiose in cui si arriva all’epilogo che uno uccide l’altro e poi si toglie
la vita. Ma perché il sopravvissuto poi si toglie la vita (o ci prova)? Per senso di colpa?
Può darsi,
ma la ragione più plausibile è che senza il partner con cui combattere (o da perseguitare) la vita gli
si svuota di significato. La modalità comunicativa di queste coppie è detta dell’ “escalation
simmetrica”: ossia una modalità simile al gioco d’azzardo, in cui alla mossa di uno segue il rilancio
da parte dell’altro di una posta più elevata, e così via. O per fare un altro esempio: durante un
litigio, se uno dei due partner strilla, l’altro deve alzare la voce di più, ed allora il primo strillerà
ancora di più e così via finché le parole non basteranno a sancire un vincitore ed allora i partners
passeranno alla lotta fisica e così via fino a che nei partners scatta un inconscio meccanismo di
autoregolazione che avverte entrambi del pericolo (per la tenuta della relazione o per l’incolumità
fisica vera e propria) di andare oltre con le tensioni.
Pertanto essi decidono di interrompere per
breve tempo la guerra e lo fanno in un modo tipico: solitamente, infatti, queste coppie si
caratterizzano per avere dei cicli di interazione ripetitivi e prevedibili in cui un lungo periodo di
scontri feroci sfocia in un appassionato incontro sessuale che ha un effetto liberatorio, pacificatorio
e rassicurante, ma di breve durata perché “l’ascia di guerra” non può essere sepolta per molto.
Allora ecco che dopo poco riprende la “guerra”, che poi sfocia nell’incontro sessuale e così via in una ruota sempre uguale e senza fine. Di solito, le persone che hanno questo tipo di relazioni sono
state abituate fin dall’infanzia a gestire nei legami familiari una quota elevata di aggressività in
un’atmosfera di estrema competizione per il soddisfacimento dei propri bisogni. Per questi partner
è estremamente difficile ammettere di aver bisogno di vicinanza, aiuto ed accudimento.
La loro vita
è molto tormentata e gli eventuali figli risentono dell’atmosfera di elevata aggressività che si respira
in famiglia e spesso agiscono tali tensioni nei contesti extrafamiliari o somatizzano l’ansia e lo
stress a cui sono sottoposti.
La coppia degli ambivalenti:
L’ambivalenza è la compresenza di sentimenti contrastanti dentro di sé (“positivi” e “negativi”, di amore e di odio) nei confronti di un’altra persona o anche di se stessi. Ogni individuo prova
sentimenti ambivalenti nelle relazioni, in misura minore o maggiore. Vi sono tuttavia persone che
hanno più difficoltà di altre a tollerare questo stato di cose, sentendosi particolarmente a disagio
nel momento in cui devono fare i conti con la propria ambivalenza. Questo accade perché tali
persone nella loro infanzia sono state abituate a negare e a dissimulare le proprie emozioni
negative, a causa di una relazione con le figure di attaccamento della propria famiglia d’origine
rigidamente punitive circa il loro diritto di bambini a mostrare e provare tali emozioni verso di loro
(in primis la rabbia e la rivendicazione).
Quando in una coppia, entrambi i partner, hanno tali
difficoltà la coppia si struttura su regole di non espressione dei conflitti e di minimizzazione ed
occultamento delle proprie pulsioni aggressive e dei sentimenti quali la rabbia, l’invidia, la
delusione, etc. Ne consegue che le situazioni di disaccordo o di delusione sono negate e non
venendo affrontate si susseguono e si accumulano.
Così nel tentativo di non far salire la pressione
e la temperatura interna della coppia si costruisce, mattone su mattone, un muro di freddo distacco
effettivo, di perdita dell’intimità e di incomprensione sempre maggiore. Una conseguenza tipica di
ciò sono i disturbi delle sfera sessuale nella coppia: l’abitudine a rimuovere i sentimenti di collera e
ad evitare qualunque conflittualità e divergenza porta ad una diminuzione dell’intimità e del
desiderio erotico e questo comporta a sua volta: o una possibile “somatizzazione” dei conflitti con
veri e propri disturbi, o il vivere il rapporto sessuale come un peso ed un obbligo. Un’altra
caratteristica di questa coppia è rappresentata dalla facilità di razionalizzare le cose che non
vanno, trovandone sempre una spiegazione “ragionevole”. I motivi dei disagi emotivi sono sempre
spostati su qualcosa di esterno e di concreto, nel tentativo ovviamente di evitare “il campo minato”
dei sentimenti e della conflittualità.
E razionalizzare è un sistema di difesa che, anche per motivi
culturali, ci viene molto facile ed immediato: per esempio nel caso del calo del desiderio sessuale
ci si può utoconvincere che la causa sia lo stress lavorativo o la routine matrimoniale, oppure i
figli (o “perché sono troppo grandi e danno problemi”; o “perché sono troppo piccoli e danno
problemi”; o “perché sono in una fase di passaggio e danno problemi..”, e così via).
Un altro
scenario che si può creare in queste coppie è quello dello “sciopero della comunicazione”: tenere
“il muso”, evitare i contatti, rispondere a monosillabi, aumentare la distanza fisica, etc.
Tutte
strategie usate anche da altre coppie, ma che negli ambivalenti acquisiscono una durata ed una
profondità maggiore. Quando poi ritorna l’armonia e finisce “lo sciopero”, quasi mai i due partner
tornano sull’accaduto: diventa così impossibile affrontare i reali motivi della situazione di
malessere, che dunque si ripresenterà. Questi due partner, in tal modo, appaiono apparentemente
sereni e privi di conflitti, ma sono in realtà in continua lotta: una lotta sotterranea, “di trincea”, negata, estenuante e fonte di rancorosa infelicità |