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Depressione

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Ognuno si abbandona a proprio modo al ritmo del mare al pari di un timoniere che nell'apparente disordine delle cose cerca la cadenza profonda del mareggio."

(I. Autissier)

 

 
Il Disturbo Depressivo Maggiore è il disturbo mentale più diffuso e compromette il
funzionamento della persona in aree importanti della vita come quella sociale, affettiva, lavorativa e la cura di sé.
 
Se alla fine dell’800 primi del ‘900 era l’isteria il disturbo mentale predominante tra la popolazione clinica oggi è senz’altro “la depressione”. Essa è data dalla presenza di più sintomi che durano almeno 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento. In particolare almeno uno dei sintomi deve essere l’umore depresso (che può presentarsi attraverso irritabilità o agitazione psicomotoria) o la perdita di interesse e piacere.
Fra gli altri principali sintomi ci sono: agitazione o rallentamento psicomotorio; faticabilità o mancanza di energia; insonnia o ipersonnia; sentimenti di svalutazione e colpa inappropriati ed eccessivi; significativa perdita di peso, senza essere a dieta, o aumento di peso oppure diminuzione o aumento dell’appetito; diminuzione o perdita
della capacità di pensare, di concentrarsi, di prendere iniziative e decisioni (sintomi cognitivi); tendenza all'isolamento, scarsa cura di sé, diminuzione dei rapporti sociali ed affettivi (sintomi affettivi); e nei casi più gravi pensieri ricorrenti di morte ed ideazione suicidaria.

 

Da un punto di visto psicoanalitico, comunemente, la sintomatologia viene connessa con la storia evolutiva della persona, la sua struttura di personalità, il suo “stile di attaccamento”, le difese psicologiche prevalentemente usate dal soggetto per far fronte al dolore psichico o per risolvere dei conflitti interni fonte di intollerabile angoscia. Basandomi sulla mia esperienza professionale e sulla letteratura scientifica sull’argomento posso dire che nella storia infantile dei soggetti depressi si ritrovano spesso lutti non elaborati, separazioni ed abbandoni infantili, maltrattamenti, trascuratezza ed abusi.

 

 
Il senso di impotenza appreso da queste esperienze infantili diventa stabile e guida le aspettative ed i comportamenti del soggetto, così come il senso di colpa che, sempre secondo una lettura psicoanalitica, è frutto della rabbia rimossa che la persona rivolge contro il suo Sè: più facile, infatti , da bambini, incolpare se stessi per come si è trattati che attaccare i genitori da cui per tutto si dipende. Questi ed altri fattori stressanti precoci sembrerebbero rendere gli individui più vulnerabili ai fattori stressanti tardivi (eventi scatenanti) che in età adulta porterebbero alla depressione
 
Per proteggersi dalle emozioni destabilizzanti di questi eventi il soggetto
impara fin dall’infanzia a rimuovere l’aggressività (o a scinderla dal resto della psiche) per paura di ritorsioni e ad erigere solide difese psichiche contro il dolore, la vergogna, la paura, il senso di umiliazione ed altre emozioni la cui intensità risultava e risulta essere intollerabile: la paura è di non poter “reggere” al dolore, alla vergogna ed alla rabbia (“paura di impazzire”).

 

La soluzione però, come spesso accade in psicopatologia, diventa il problema, poiché l’unico modo per far andare via il dolore è “sentirlo”, “farlo uscire”, accoglierlo, pensarlo, esprimerlo in parole per poterlo così elaborare psichicamente, dargli un senso ed integrarlo con il resto della personalità. Scopo della psicoterapia è agire e sostenere la persona perché tali cambiamenti possano attuarsi. Cercherò ora di approfondire l'eziopatogenesi di questo disturbo evidenziando come esso sia il risultato di esperienze relazionali moto precoci: in condizioni di normalità, il neonato riceve dalla madre una riserva di affetto e tenerezza sufficiente ad ispirargli per sempre la fiduciosa convinzione di essere meritevole d’amore.
 
Convinzione che gli servirà moltissimo nel corso della vita, poiché così sarà in grado di accostare il prossimo con un certo grado di fiducia in se stesso in modo che, qualora sia respinto o vada incontro a questo o quel fallimento, avrà sempre in sé una riserva d’energia vitale a cui attingere in caso di necessità; qualcosa che lo assisterà nei periodi di lutto o delusione.
 
Detto in altri termini si può dire che il soggetto è stato “condizionato” ad attendersi il successo, sia per quanto riguarda le proprie imprese, sia per quanto riguarda i rapporti con gli altri. In gergo psicoanalitico in questi casi si dice che ha introiettato “una madre buona” (M.Klein) e che quindi reca in se, oltre all’aspettativa di essere amato e di essere una persona amabile, una riserva interna d’amore inattaccabile dalle vicissitudini esterne.

 

 
La fiducia in se stessi dell’età adulta, insomma, affonda sulle primissime esperienze affettive nel rapporto con la madre (o con chi si prende cura del piccolo). Se queste prime esperienze sono abbastanza positive, ciò porterà il bambino a rendersi conto che la madre, oltre ad essere “buona” e fornitrice di cure, protezione ed attenzioni, può essere a volte “cattiva”, frustrando i suoi desideri fino ad essergli a volte ostile.

 

Poiché i bambini reagiscono al freddo, alla fame ed alla solitudine e poiché nessuna madre è in grado di esaudire immancabilmente le pretese del piccolo, è inevitabile che ci saranno momenti in cui si sentirà frustrato ed arrabbiato con la madre e arriverà a supporre che anche lei sarà irata con lui a volte. Tale situazione è tollerabile purchè l’aspetto “buono” della mamma prevalga sull’aspetto “cattivo”.
 
Nella vita adulta è inevitabile e tollerabile provare a volte ira verso chi si ama ed accettarne l’irritazione, purchè ci si renda conto di un’interrotta corrente sotterranea d’amore o, almeno, si sia sicuri che, passato il momento d’ira, l’amore possa ritornare. Consideriamo ora invece la situazione in cui le prime esperienze affettive del bambino con la madre sono tali da non ispirargli l’inossidabile convinzione di un’essenziale “bontà” materna. Il bambino troverà allora impossibile acquistare la fiducia nella propria sostanziale “bontà” o amabilità e non avrà, quindi, nessuna riserva interna di fiducia su cui poter contare.
 
E così, per quanti successi possa avere nella vita successiva, resterà sempre pericolosamente vulnerabile al fallimento, alla delusione e incerto sulle sue capacità; mentre le difficoltà che immancabilmente incontrerà nel suo cammino le vivrà sempre come catastrofi che lo getteranno in una profonda depressione. In particolare troverà difficile tollerare la rabbia di coloro al cui amore si sarà affidato, così come troverà difficile accettare ed ammettere di essere a sua volta arrabbiato con loro. Questo perché non sarà mai convinto della continuità della corrente affettiva, né spererà nel ritorno dell’amore dopo una breve eclissi